giovedì 27 giugno 2013

I pezzi della mia nuova vita



Hai presente quando torni da un viaggio, un parto, o un coma, e ti chiedono allora, come è andata?


Ecco, è proprio così. Nel senso che dovrei scrivere due righe sulle prime impressioni della mia nuova emigrazione, e invece mi viene solo bene, grazie, perché proprio non saprei da dove cominciare.

Tante cose, nessuna importante.


Potrei dire che qui se vuoi una bistecca al sangue devi dire ben cotta, se no te la portano appena scottata. Ma scottata proprio nel senso umano del termine, come dopo la prima giornata al mare. Che se solo la impanassero di crema solare, la tua bistecca rimarrebbe cruda. Sempre meglio del resto, perché qui per piacere, il cibo deve avere l’aroma da bagno d’autogrill dei formaggi o l’aspetto pastoso da bolo masticato dei vari preparati di carne deformata. E in fin dei conti ben vengano, questi pastrocchi culinari, se qui nel quartiere ne sono tanto orgogliosi da aver proibito le paninoteche seriali.


E le strade sono proprio come me le ricordavo da un viaggio in Provenza che ho fatto a 12 anni: piene di merde di cane. Espando: c’è perfino una piazzetta qui vicino, che ha quattro aiuole, di cui una piena di sabbia, apposta perché almeno le merde si raccolgano là e non sulla strada. Là attorno – soprattutto là attorno, ma un po’ ovunque, nelle giornate calde l'aroma è lo stesso che si respira in un caseificio. Sarà che qui il formaggio piace. Ieri mi sono reso conto che ancora non riconosco gli edifici della mia zona, perché mentre cammino tengo lo sguardo fisso sulla punta degli infradito.


Sono cose così, piccole, tipo che noi quella cosa gialla e molliccia la chiamiamo in francese, crème caramel, mentre loro dicono fl’mnbì.


E poi c’era anche quell’altra cosa, ah, ecco: forse non sapete che la percentuale dei maschi francesi con la barba è alta quanto quella dei grillini ad un convegno sugli UFO.


Ecco, chissenefrega? Io, perché sono i pezzi della mia nuova vita.

lunedì 17 giugno 2013

Weekend in famiglia (la sua, quella paterna)



Fra le tante cose che ho fatto lo scorso fine settimana spicca la visione di un documentario sul f-i-s-t-i-n-g (i trattini per allontanare il pornologhi dal blogghe) in compagnia di Lilù, sua sorella minore e i genitori. È stata proprio la sorellina a scaricarlo per la visione pubblica, dopo averci incuriositi tutti, parlandone per giorni.

Il f-i-s-t-i-n-g è stato un po’ il tema dominante di questo fine settimana presso la famiglia paterna di Lilù, l’argomento è stato trattato a più riprese da grandi e meno grandi, con la massima naturalezza. Ovviamente mi riferisco al f-i-s-t-i-n-g parlato, non quello giocato. 

La cosa che stupisce è proprio questa, un raduno di tre generazioni in cui tutti discutono come coetanei. Dalle mie parti, fra le generazioni ci sono determinati limiti. Gli anziani giocano alle carte, parlano di campagna e ricapitolano la genealogia del paese, gli adulti dibattono di politica, stufe in maiolica (il vero status symbol alpestre) e calciatori di una volta, mentre i giovani discutono di bere, macchine e calciatori in attività. L’unico momento di comunicazione fra le fasce d’età è quando gli anziani si informano con tono grave e fare accigliato sulla situazione famigliare o lavorativa delle altre generazioni.

Quassù invece le generazioni comparano smartfoni, bevono birra, vino, sciampagna, pastis, miscugli di sciroppi e alcolici. Intanto la sorellina si informa se le nipotine quindicenni sanno cosa sia un sessantanove.
E la nonna si è lasciata strappare per un giorno ai rossi campi del Roland Garros, dove anche quest anno è riuscita a farsi inquadrare in mondovisione, mentre incoraggia Tsonga e Monfils a voce alta e gesti potenti, col viso dipinto del tricolore cugino del nostro.

Ma anche qui come ovunque si parla delle ultime novità di famiglia: una zia chiede se la cugina è ancora sposata o se nel frattempo è divorziata, come a presumere che il divorzio sia inevitabile, in una famiglia. In effetti, sia i genitori che tutti gli zii paterni e materni di Lilù sono divorziati, e lo sono anche le uniche due cugine ad essere già state sposate. A dire il vero uno che non è divorziato ci sarebbe. Si tratta dello zio omosessuale, che è morto prematuramente, ma almeno fra le braccia del compagno.

Ecco, questo scenario potrebbe inorridire il novanta per cento degli italiani, ma in realtà non ci si sta male, in questa famiglia dove se parli di religione ti guardano preoccupati, e parlare di foga (la O sempre per quelli di prima) con gli anziani è divertente e istruttivo.

Verso fine serata, Lilù mi chiede se chiamerei mio figlio Anakin. Il cuginetto decenne la blocca subito inorridito. È la forza dell’empatia, per lui che porta il nome di un autoveicolo. Pare che alla sua nascita, il resto della famiglia abbia protestato per la scelta onomastica, segno confortante che la libertà in tema di sesso e religione non implica l’accettazione passiva di qualsiasi idiozia.

lunedì 3 giugno 2013

Crocefisso

Se non mi faccio sentire da un po' è più perché sto leggendo Infinite Jest che per il fatto che finalmente sono riuscito ad emigrare di nuovo.

Nella versione inglese sono 981 pagine, Infinite Jest, più 97 di note scritte piccole piccole, con qualche nota delle note. Ogni pagina mi richiede una media di 7 minuti di alta concentrazione, più varie ricerche su decine di siti che si occupano di ricapitolare la trama, riassumere i personaggi, localizzare lo scenario, approfondire le decine di temi e sottotemi buttati là fra le pagine.

Ci sono guide di lettura che ti dicono di resistere a quel noioso dialogo a pagina 30, non scoraggiarti di fronte alla miriade di personaggi incontrati fra pagina 50 e 60 e comunque tenere duro fino alla 200, che da là non ti fermi più. E occho a pagina 223, perché c'è una sorpresa. C'è perfino chi ti spiega come usare i segnalibri. Pare che ne servano almeno tre. Ed è tutto vero. Ho raggiunto pagina 200 sul regionale verso Milano, dopo lo sforzo pesistico di issare la borsa col mio tutto sulla mensola portabagagli, e da allora ricordo solo vagamente i viaggi in treno che sono seguiti.

Ecco, però, a parte questo, che interessa solo ai nerd, sono per l'appunto emigrato. Lilù mi prende per il culo, perché leggo Infinite Jest invece di impacchettare le cose lasciate a casa di sua madre nella Banlié di Parì e cercare quel camioncino da affittare per andare a prendere altrettanta roba da suo padre a Blois e finalmente convogliare il tutto nella nuova casa in via del crocefisso, a Tolosa.

Per i francesi, dire che abiti in via del crocefisso suscita grande ilarità. Noi cisalpini invece ai crocefissi ci siamo immunizzati. Ma forse il livello di nerdosità di Infinite Jest suscita ancora più ilarità della storia del crocefisso.