giovedì 29 agosto 2013

L'ho finito



E io che faccio ora? Mesi a leggere un libro grande come una scatola degli attrezzi, e arrivato a pagina 981 (che di fatto è l’ultima di 1072 ), tutto quello che ho da dire è ma sì, bello, eh, però boh.

Tutto questo dopo che nell’introduzione il buon Dave Eggers mi dice che Infinite Jest è un libro che può piacere o non piacere, ma di sicuro non lascia indifferenti?

Sono io o è Dave Eggers a non aver capito nulla? Secondo voi? O forse mi salvo in corner dicendo che non c’è niente da capire?


α) Qualcuno ha detto che è un libro illeggibile, e in effetti il primo capitolo ha veramente senso solo se riletto al termine del libro. Una cosa che se tu la consegni ad una casa editrice, se sono gentili ti dicono non c’è male, però intanto vai a studiarti le basi, che poi ne riparliamo.


Credo sia un po’ come quel giocatore che sbaglia un gol che avrei fatto anch’io. È vero che lo avrei fatto anch’io, ma il vero merito del giocatore è essere là, dopo anni di giovanili e mai una volta in discoteca chese no i muscoli si fiaccano, capocannoniere in serie B, due anni in bassa classifica e ora però potersela giocare, magari sbagliare un gol che avrei fatto anch’io, ma nessuno dubita che il prossimo entrerà. Come minimo lo devi ammirare, uno che scrive libri che tanto vale che mi legga lo Zingarelli, che è anche più facile, e trova gente che poi il libro glielo legge, tutto. Un altro gol per Dave Eggers.


β) E c’era un altro punto sul qual Dave e io non ci trovavamo d’accordo. Lui scrive che in ogni caso Wallace scrive con modestia e non cade mai nel pretenzioso. Io invece davanti a tutto quel il dico-non-dico, a quelle descrizioni lunghe decine di pagine, l’idea di rinominare gli anni, per lo più in un’opera che non procede in ordine cronologico, e poi metterti la chiave di lettura così, dal nulla, a pagina 223, un po’ ho dovuto pensarci. Poi ho concluso che in realtà l’autore vuole solo giocare con me, come dice la padrona del cagnolino che ti sta azzannando la caviglia. Direi che qui un pareggino me lo concedo: dove è il confine fra dotto e pretenzioso? E se ho tre mele e ne mangio cinque, quante mele rimangono?
 

γ) L’altra cosa era questa: Infinite Jest non è che tu lo possa leggere. In caso studialo. Hai presente l'Ulisse di Joyce? Ci ho fatto un corso all'università, affascinante, spesso mi torna in mente, ma credi che lo abbia letto tutto? O la Divina commedia: al liceo non leggevamo Dante, leggevamo il Di Salvo. Per 9 righe di Dante ce n’erano 15 del Di Salvo, che in proporzione vinceva quindi 5 a 3. Sarei curioso di leggerle ste note ad Infinite Jest. E so che esiste un libro di questo tipo, ma onestamente sono spompato.


Ecco, sono riuscito appena a sfogliare qualche sito, un paio d’ore una sera. E mi hanno aperto le porte. Perché ho scoperto che un finale esiste, solo che è sparso qua e là, un po’ nel primo capitolo, ma non solo, sarebbe troppo facile. Per fortuna c’è internet, cosa che David Foster Wallace non avrebbe mai immaginato, lui che nel 1996 immaginava un 2009 (The Year of Glad) con la gente che usa i CD-ROM. È un finale che non puoi dire finisce così, ma gli indizi sono talmente forti che è come se potessi farlo.


Alla fine lo posso dire, gli voglio bene a quel libro. Non come un figlio, non come un’amante, più come un contatto Facebook che ti piacerebbe conoscere meglio ma abita troppo lontano.

domenica 18 agosto 2013

Il Trecento




E con questa sono trecento volte che pubblico qualcosa su sto bugigattolo qui. Basta sommare le cifre che trovate là a destra. Certo, sarebbe più facile se nel frattempo fossi passato a Wordpress come promesso, ma quel famoso titolo geniale che mi era saltato in mente in una foresta di Tonga non è ancora riaffiorato.


Ho iniziato cinque anni e mezzo fa. Abitavo sulla costa occidentale dell’Irlanda, ma stavo cercando lavoro sul continente. Mi mancava, il continente. Non l’Italia in particolare, era proprio il continente. Avevo un lavoro dove la parola d’ordine era quella che poi mi avrebbe perseguitato come una nemesi: proactive. 


La sera arrivavo a casa demolito, e passavo la serata a guardare la televisione con la mia coinquilina o ad aiutarla col videogioco sul telefonino. Quello che mi mancava era un senso, qualcosa per motivare – non dico il mio esserci – ma almeno il mio farci.


Poi mi hanno mandato a Londra per lavoro per due settimane. La sera, nell’appartamento aziendale nel cuore vuoto della City, non ci ho messo molto a rendermi conto che la BBC e un libro di Severgnini non avrebbero soddisfatto il mio fabbisogno intrattenitivo. E stavolta non potevo neanche contare sui videogiochi della coinquiina.


Allora ho deciso che quell’idea che avevo già da un po’, si poteva anche metterla in pratica. Rimettere in piedi il blog, un po’ come la band dei Blues Brothers, ma su scala più minuta. Ho cominciato a buttare giù brevi frasi, con tutto quello che provavo. Nulla di che, per carità.


E il nulla di che è stato quello che ha tirato avanti questo piccolo gabinetto di emozioni. Perché se avessi avuto ambizioni, non sarei andato avanti un gran che. Così mi sono imposto di scrivere quello che mi andava, come mi andava, senza pensare troppo a come rendere il tutto appetibile e senza divulgare l’indirizzo (in questi anni lo ho dato a tre persone, più l'intero Club del Libro di Amsterdam).


Certo, se mi avessero detto che dopo cinque anni avrei avuto la stessa quantità di visite che il blog che ho scritto viaggiando con Lilù ha raggiunto in tre mesi, se mi avessero detto che la quantità di lettori più o meno fissi sarebbe stata (molto) inferiore a dieci, forse un po’ ci sarei rimasto male.


E invece alla fine no, perché è vero che da quando ho sostituito le designazioni delle parti del corpo femminile con asterischi in quel vecchio post, qui di gente ne passa davvero poca, ma è tutta gente a cui tengo. Il primo blog, che parlava di musica e vita, forse era morto per quello: tanti commenti, ma boh. Mi pareva di urlare in mezzo a una piazza: qualcuno ti ascolta, ma chissà poi cosa pensa.


Su queste pagine ecosostenibili (in quanto stampate su SVGA) ho conosciuto almeno tre persone nuove, tre persone che mi piacciono molto e che ho incontato anche nella VeraVitaReale (anche se uno dei tre non credo mi legga più da un po’) e ho avuto il grande piacere di rinsaldare il contatto con un’altra persona, che già conoscevo e che mi ha smascherato per caso.

Ecco, questo basta. E comunque, visto che ci siamo, se per caso ci fosse qualche lurker là fuori, direi che è il momento di farsi avanti.


Intanto sono a pagina 917 di 981 (nota 371 di 388). In proporzione sono 3 pagine fitte fitte per ognuno dei miei post e fra poco verrà il momento di parlarne un’ultima volta e poi seppellire una volta per tutte l’argomento.

E nel frattempo – se devo fare una rivelazione shock, come si fa quando si raggiunge una pietra miliare –  lo ammetto: “proattivo” non è lo stesso di “attivo”, ma con un prefisso che fa business, ma ha un significato. Questo però ancora non basta ad arginare la tristezza e il senso di vuoto che provo di fronte a chi è troppo convinto della sua pretenziosa carica manageriale. 

venerdì 9 agosto 2013

Lucidità



Nei paesi meno abbienti, mi ha sempre fatto effetto quello che la gente fa del suo tempo. Certo, la maggior parte viene investita nello sfangare la giornata, ma il resto. Uomini seduti sull’asfalto davanti a casa in Indonesia, gruppi di ragazzini su soglie di porte in Africa, o per strada, o lungo le strade. Gli uomini, perché le donne fanno sempre qualcosa, cuciono, cuociono, riparano reti. Gli uomini al massimo fumano.

Io che se non faccio almeno una cosa utile al giorno sento di aver sprecato il mio tempo. Tempo utile e non lavorativo, che il lavoro magari utile lo è, ma chissà perché non dà il sentimento di occupare bene il tempo.

Finché ora sono qui in questo periodo di sostanziale vuoto. Io che il vuoto qualche mese fa oddio, ora invece quel vuoto lo capisco, mi siedo sul divano, va bene anche con un libro (pagina 853), a patto di non superare le 2 pagine in 10 minuti, va bene anche la tivvù, basta che non sia né interessante da coinvolgermi, né stupido da farmi incazzare. Poi capita che mi sveglio, e in dieci minuti faccio quello che di solito facevo in un’ora.

La verità è che i tempi morti, morti non sono. Pompano le abilità, come nei videogiochi, e in questo videogioco che è la VeraVitaReale (per PC, Xbox e quello che vuoi tu), l'abilità, tanto preziosa quanto sottovalutata, è la lucidità.