domenica 18 maggio 2014

Hey, Johnny!



Johnny è l’archetipo del rock, un po’ come Venere è l’amore e Kali la morte, Allah le bombe e Jah la ganja.

Primo è arrivato Johnny B. Goode, poi Johnny giù in cantina, quello che traffica medicina nel nostalgico sotterraneo blues di Bobbo, poi ancora Johnny che ricorre i cavalli della Patti, Johnny Thunder, quello dei Kinks e Johnny Thunders quello tossico. C’era un Johnny fra le file dei Ramones e credo anche in una canzone di Springsteen. C’è ovviamente Johnny Marcio e sicuramente me ne manca qualcuno. 

Ma anche in Francia il rock ha un suo Johnny di rappresentanza. In realtà l’ho scoperto a 16 anni, perché il primo libro di storia musicale che ho letto l’aveva scritto un francese e subito dopo Elvis parlava delle virtù profetiche di Johnny Halliday. Era uno pseudonimo talmente cazzuto che mi è sempre rimasto impresso. Poi un anno fa ho attraversato le Alpi e posso ora garantire che qui dimenticarsi del Johnny nazionale è praticamente impossibile.

Il librino di storia diceva che Johnny era stato il primo a portare il rock nella terra degli scianzonieri, lui ragazzo ribelle col ciuffo ribelle. Ebbene oggidì Johnny è ancora vivo e ogni anno che passa è sempre più conscio del suo ruolo di precursore. Lo vedi in TV che incita alla beneficienza gomito a gomito con la moglie di Chirac (il marito no, che ha l’Alzheimer e non può neanche andare in tribunale a rispondere delle accuse di corruzione), lo vedi in faccia e lo fissi, non negli occhi, ma nelle labbra, perché ha delle labbra che in confronto qualsiasi membra dell’Esercito di Silvio è una ragazza acqua e sapone. 


In tivvù capita anche che Johnny ti tocchi anche ascoltarlo e lui ti propone ste salsine mielose che manco il peggio neomelodico di Scampia, con la differenza che Vincenzo Junior e Jo’ Donatello difficilmente possono vantarsi di aver introdotto il rock in patria, mentre lui purtroppo sì. E questo non è un dettaglio trascurabile, perché Johnny sa di essere importante, perché ama ripetere che lui è il Rock anche se poi suona neomelodico. Come Celentano, che sì, anche lui ha fondato il rock nel suo paese, ma almeno ora lo prendono sul serio solo su Repubblica e ai meeting di Cielle. Johnny invece lo prendono molto sul serio. Anche altri, ma soprattutto lui stesso. Pare che in occasione di Live Aid (concertone contro l’AIDS, che se ci pensi bene è un po’ come se facessero un concertone contro il raffreddore e lo chiamassero Live Raffreddor)

Aspetta. Fermo la frase, che qui ci vuole enfasi e la parentesi me l’ha uccisa. 

Pare che in occasione di Live Aid Johnny si sia proposto per un duetto con gli Stones e pare anche che Mick Jagger abbia solennemente risposto e tu chi minchia saresti? (da pronunciarsi in rigoroso cockney londinese)

Ecco, Johnny è questo: uno che tanti anni fa ha importato un nuovo prodotto dall’America e ora vive di rendita vendendone la versione tarocca. Ne parlo perché una notte di Capodanno, in preda ai fumi di pastis e Armagnac, ho cominciato a inserire Johnny in ogni frase che ho pronunciato per le due ore successive. E ora ogni volta che appare in televisione ricevo messaggi e segnalazioni su Facebook, come se Johnny e io fossimo ormai inseparabili. La settimana scorsa mi hanno scritto addirittura dalla nuova York, per segnalarmi la sua presenza anche nel paese dove il rock l’hanno partorito. 

Forse voleva restituire agli americani il maltolto, in versione usata e slabbrata. Più tardi ne hanno parlato anche al telegiornale. La moglie di Chirac stavolta non c’era, però pare che al concerto nella Grande Mela non ci fossero solo francesi. E questa, signori, è una notizia che se confermata potrebbe avere risvolti imprevedibili.