Dopo “vergogna”, la parola che meno mi piace nella nostra
dolce lingua è “buonismo”, perché si tratta di un termine dispregiativo utilizzato per un concetto che è positivo.
La gente vede dell’ipocrisia nell’essere buoni, un po’ come
se fossimo tutti implicitamente cattivi e ci mascherassimo dietro a un velo di
bontà, o buonismo. Io non credo sia
così.
È curioso anche notare che la gente vede il buonismo (parafrasi:
bontà affettata) come una caratteristica tipicamente italiana, quando invece
non ho mai sentito dichiarazioni tanto anticonformiste (il contrario di “buonista”)
come dalla bocca dei nostri connazionali. Parlo della gente per strada, ma
soprattutto delle persone che rivestono cariche più alte.
I politici cavalcano da sempre l’onda dell’anticonformismo,
da Pannella a Salvini, passando per Grillo, che è talmente anticonformista da essere contrario a tutto. Quelli più
buoni al massimo possono aspettare di avere 80 anni e farsi eleggere presidente
della repubblica. Anticonformisti sono i personaggi della nostra televisione, a
parte quelli che passano a Sanremo. Quelli al massimo possono essere
trasgressivi, la versione mediatica di “anticonformista”. Pensandoci bene, “trasgressivo”
è il vero contrario di “buonista”, perché ne rispecchia la falsità, mentre l’anticonformismo
in sé è una cosa positiva.
La mia ricetta per
stare un poco meglio nelle nostre
braghe di nazione è anche quella di essere un pelino più buonisti.